Cosa è la meditazione?

Vale la pena iniziare da “cosa non è la meditazione”.
Siamo abituati a utilizzare la parola meditare come un sinonimo di “pensarci su”. Considerare con grande attenzione un argomento, un problema, per indagarne cause e possibili sviluppi.
La meditazione sul tappetino yogico è in realtà l’inizio di un’indagine su noi stessi. Più che usare la mente la osserviamo, per esserne consapevoli.
La prima esperienza meditativa ci mette di solito di fronte a una frustrazione: non siamo capaci di eseguire la tecnica, per quanto apparentemente semplice.
Non siamo capaci di lasciare che la nostra attenzione si focalizzi su un solo aspetto, di solito si comincia con il respiro, senza distrarci e iniziare a pensare ad altro.
Possiamo arrivare a provare un’intensa irritazione verso tutta la faccenda. Immobili, in una posizione che dopo pochi istanti ci appare poco confortevole e con quella voce guida (l’insegnante) che ci invita a restare ancorati al nostro respiro, “qui e ora”. Fastidio.
Perché mi sono cacciato in questa situazione? Cosa ci faccio io qui? È evidente che non sono portato per queste strane pratiche. Sono un occidentale del mio tempo. Potrei essere al cinema. O a sentire musica jazz, bevendo un gin tonic con quella brunetta del reparto marketing.
Vorremmo essere ovunque ma non “qui e ora”.
In realtà, se superiamo la frustrazione di non avere avuto visioni trascendentali capaci di schiuderci i misteri dell’esistenza, abbiamo appena appreso qualcosa di molto importante:
non possiamo mantenere l’attenzione sul respiro perché non abbiamo un gran controllo sul nostro flusso mentale. E non è una scoperta da poco se si considera che abbiamo migliaia di pensieri ogni giorno.
Addirittura dai 60 mila agli 80 mila per il neuroscienziato e filosofo Deepak Chopra; tra i 12 mila e i 50 mila per The National Science Foundation.
Tanta roba.
Troppa per non esserne consapevoli. Quindi non scoraggiatevi se non riuscite a mantenere l’attenzione sull’oggetto della meditazione per più di pochi secondi (che sia il respiro, un mantra o un’icona). Il vero scopo non è osservare il respiro. Il vero scopo è rendervi consapevoli dei vostri limiti attuali. Se non si conoscono le catene invisibili da cui siamo avvinti non potremo mai liberarcene.
“Nel tentativo di essere silenzioso testimone, l’ego mentale realizza invece che razza di incessante chiacchierone sia.” (Michael Washburn)
Ma noi non siamo il chiacchiericcio della nostra mente. Non se è un fiume in piena che possiamo osservare. Si è mai visto un fiume osservare se stesso?
Dedicate tre minuti al giorno all’osservazione di questo fiume in piena. Guardate (senza giudicarli) i pensieri che scorrono nel buio dietro ai vostri occhi chiusi. Sono desideri? Sono repulsioni? Limitatevi a vederli sfilare, come rami e detriti della foresta nella corrente.
E ricordatevi, in ogni istante: Voi. Non. Siete. Quei. Pensieri.
Siete il Testimone che osserva.
Tutte le pratiche Yoga mirano a sviluppare e irrobustire quel “Testimone”. A farne un osservatorio sempre più stabile e confortevole sul fiume dei pensieri.
Acquietare quel fiume, placare la mente, sviluppa la resilienza dell’individuo e combatte la depressione.
Per oggi può bastare.